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3 agosto 2011 3 03 /08 /agosto /2011 20:01

Per chi non fraintenda
narra la leggenda
di quella gitana
che pregò la luna
bianca ed alta nel ciel
mentre sorrideva
lei la supplicava
«fa che torni da me»
«tu riavrai quell'uomo
pelle scura
con il suo perdono
donna impura
però in cambio voglio
che il tuo primo figlio
venga a stare con me»
chi suo figlio immola
per non stare sola
non è degna di un re

Luna adesso sei madre
ma chi fece di te
una donna non c'è
dimmi luna d'argento
come lo cullerai
se le braccia non hai
figlio della luna

Nacque a primavera
un bambino
da quel padre scuro
come il fumo
con la pelle chiara
gli occhi di laguna
come un figlio di luna
«questo è un tradimento
lui non è mio figlio
ed io no, non lo voglio»

Luna adesso sei madre
ma chi fece di te
una donna non c'è
dimmi luna d'argento
come lo cullerai
se le braccia non hai
figlio della luna

II gitano folle
di dolore
colto proprio al centro
dell'onore
l'afferrò gridando
la baciò piangendo
poi la lama affondò
corse sopra al monte
col bambino in braccio
e lì lo abbandonò

Luna adesso sei madre
ma chi fece di te
una donna non c'è
dimmi luna d'argento
come lo cullerai
se le braccia non hai
figlio della luna

Se la luna piena
poi diviene
è perché il bambino
dorme bene
ma se sta piangendo
lei se lo trastulla
cala e poi si fa culla
ma se sta piangendo
lei se lo trastulla
cala e poi si fa culla

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3 agosto 2011 3 03 /08 /agosto /2011 19:52

Cinzia è il nome poetico della Luna. Infatti, Cinzia era originariamente un epiteto della dea greca della luna, Artemide, che — stando alla leggenda — era nata sul monte Cinto. Lo stesso Galileo Galilei chiama Cynthia la Luna nel suo celebre messaggio anagrammato dell'11 dicembre 1610 a Johannes Kepler, il cui arcano significato (riferito alle fasi del pianeta Venere, simili a quelle del nostro satellite) lo stesso Galileo svelerà in una successiva lettera del 1º gennaio 1611.

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31 luglio 2011 7 31 /07 /luglio /2011 19:17

" Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. » 

« Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse. cogli l'attimo, confidando il meno possibile nel domani. » (Orazio)

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22 luglio 2011 5 22 /07 /luglio /2011 17:55
                                     


    
                                    Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.


                                             Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.
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19 luglio 2011 2 19 /07 /luglio /2011 09:35


Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

Viviamo nell'amore, Lesbia mia!
E i vecchi astiosi e i loro brontolii
non valgano per noi neanche un centesimo.
Ogni giorno finisce e poi ritorna,
ma quando il breve giorno della vita
avrà visto il tramonto, dormiremo
una notte senza fine. Ora dammi
mille baci, poi cento e poi altri mille,
e ancora cento, mia cara, e ancora mille.
Quando saranno cento volte mille
confonderemo i conti, che nessuno
possa farci il malocchio, conoscendo
un così grande numero di baci.

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7 luglio 2011 4 07 /07 /luglio /2011 18:42

(Nel giardino di Capuleti : Romeo e Giulietta si affacciano al davanzale della finestra).

GIULIETTA : - Te ne vuoi già  andare? Non e' ancora giorno: era il canto di un usignolo e non di una allodola a ferirti il trepido orecchio. Di notte l'usignolo canta su quel melograno; credi a me, amore, era l'usignolo.

ROMEO : - No, era l'allodola, foriera del giorno, non era l'usignolo. Guarda, amore, come quelle strisce laggiù a oriente tagliano invidiose le nuvole. Le faci della notte si sono oramai consumate e in punta di piedi il giocondo mattino s'e' levato sulle cime nebbiose delle montagne. Devo andarmene e vivere, o rimanere e morire.

GIULIETTA : - Quella luce non e' la luce del giorno, lo so, ...e' una meteora irraggiata dal sole perche' ti faccia da torcia e ti rischiari la strada che farai fino a Mantova. Rimani dunque, non devi andartene.

ROMEO : - Lascia che mi prendano, lascia che mi uccidano... se tu vuoi cosi', io ne sono contento. E dico anch'io che quel lucore laggiu' non e' l'occhio del mattino ma un pallido riflesso del volto di Diana, che quelle note che risuonano tanto alte, sopra noi, nel firmamento, non sono dell'allodola. Vieni morte, e sii la benvenuta! Giulietta stessa vuole cosi'. Va bene, anima mia? Discorriamo, non e' ancora giorno.

GIULIETTA : - Si, si, e' giorno, corri via, vattene, subito! E' l'allodola a cantare cosi' stonata, sforzando aspre dissonanze e sgradevoli acuti. Dicono che l'allodola canti dolci melodie, ma questa e' amara perche' divide te da me; dicono che l'allodola e il ripugnante rospo si siano scambiati gli occhi; adesso mi sembra che si siano scambiate anche le voci poiche' e' questa voce a staccarci, spauriti, l'una dalle braccia dell'altro, allontanando te e ridestando il giorno. Vattene, vattene ! c'e' sempre piu luce.

ROMEO : - Piu e piu luce e' nel cielo, piu e piu buio e' dentro noi.

( Entra la Nutrice )

NUTRICE : - Madonna !

GIULIETTA : - Balia !

NUTRICE : - Madonna, viene vostra madre : e' giorno, state attenta.

GIULIETTA : - Allora, finestra mia, fai entrare la luce e uscire la vita.

ROMEO : - Addio, addio ! Un bacio e scendo. ( Scende )

GIULIETTA : - Sei andato via cosi' ? Amore, signore, si, marito e amico ! Devo avere due notizie in tutti i giorni dell'ora perche' in ogni minuto vi saranno ormai due giorni.

 

(da W. Shakespeare - Giulietta e Romeo - Trad. di P. Ojetti - Ed. Rizzoli )

 

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