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15 marzo 2013 5 15 /03 /marzo /2013 17:27

Ecco, ora vedo...

ti raggiungerò là,

in fondo all'orizzonte,

dove gli ultimi raggi del sole danzano

allacciati al cielo che ancora non si  arrende alla notte...

Ti raggiungerò là,

in fondo all'orizzonte

dove la rugiada del mattino,

lacrime di Angeli,

illumina i fili d'erba  ai primi bagliori dell'alba...

Ti raggiungerò ascoltando il canto dell'allodola

nell'ora più buia prima del nuovo giorno...

Ti raggiungerò nel Tempo e nel Luogo

stabilito per l'appuntamento

e ti vedrò indossare una veste intessuta di candore e di Luce

di

Eterno Amore...

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5 marzo 2012 1 05 /03 /marzo /2012 19:20

LIBERA ESPRESSIONE CREATIVA

Gli era sempre piaciuto creare, lo rilassava: il nuovo mondo era venuto bene, ancora un po’ spoglio, essenziale, ma era una buona base di partenza e si vedeva.

Certo, tutto quel bianco e nero… elegante e d’effetto, niente da dire, ma non era del tutto convinto.

Pensieroso, aveva attinto generosamente da un barattolo e con pochi tratti sapienti la luce era esplosa in ogni angolo. In effetti adesso era molto più allegro, ma aveva decisamente sottovalutato il riverbero: alla fine della giornata si era ritrovato con gli occhi che lacrimavano ed aveva dovuto bruciare le tappe su un paio di creature. Aveva osservato soddisfatto la linea sfilata degli occhiali a specchio; sul collirio era meno entusiasta ma avrebbe avuto la sua utilità.

Il giorno dopo si era convinto per una soluzione più rilassante ed il cielo terso aveva tinto di azzurro il panorama: meglio, molto meglio! Trasmetteva un senso di pace, faceva venire voglia di sdraiarsi e perdersi nella contemplazione dell’infinito, faceva pensare e rimpiccioliva l’esistenza di fronte all’immensità, però… alla lunga era un po’ gelidino …

Dopo una notte di brividi passata a sognare sacchi a pelo termici e stufette radianti, aveva cercato un sistema intermedio: la terra aveva coperto il mondo con il suo marrone caldo, variegato nei tanti toni della sua composizione geologica. Certo, qualunque manuale base di cromoterapia avrebbe sconsigliato una soluzione simile, ma c’era qualcosa di rassicurante nel nero fecondo e nel bruciato argilloso. I ritmi della vita contadina sarebbero stati perfetti per quel mondo… già… ma la rivoluzione industriale? A chi sarebbe mai venuta in mente una rivoluzione industriale in quella distesa terrosa?

Ormai era una questione di principio: non si poteva lasciare un nuovo mondo senza un colore decente!

Riprovò con il verde lussureggiante delle piante, ma erano talmente fitte da non riuscire a districarsi, poi il sole invase di rosso vivace e ustionante l’intero creato. Insomma…

Il viola degli abissi non era male, ma per chissà quale ragione inconscia, faceva scattare d’istinto una forma di rapido toccamento scaramantico.

Il settimo giorno era relativamente contento: un bel grigio sfumato avvolgeva tutto con classe e sobrietà. Doveva ammettere che l’umore delle creature non ci aveva guadagnato molto, ma l’idea non era da scartare, caso mai da riproporre ogni tanto, a tratti, in morbidi batuffoli fluttuanti sulle autostrade.

 

Non aveva ancora preso una decisione definitiva e si limitava ad osservare pigramente gli ultimi due arrivati.

Non fece in tempo a gridare: l’uomo aveva urtato la prima latta ed era balzato indietro travolgendone altre. Trattenne il fiato di fronte allo scempio mentre l’uomo si era mosso barcollando sul terreno fradicio; un attimo fatale: come al rallentatore vide la creatura franare rovinosamente sugli ultimi barattoli, in un turbinio di colore.

Gli altri animali stridevano in mille versi vedendosi di colpo ricoperti dalle chiazze più svariate, mentre i fiori, le pietre e le acque si agitavano di fronte a quell’insozzarsi generale.

Guardò inorridito il suo bel mondo pulito e ordinato, irrimediabilmente ridotto ad un’accozzaglia indistinta di colori, mentre la donna si avvicinava sbigottita.

«Ecco! Guarda che hai fatto!» aveva sibilato furiosa rivolta all’uomo «Sei sempre il solito!»

Sconsolato, guardò Adamo ed Eva che si allontanavano litigando, armati di secchi e strofinacci; aveva un cupo presentimento su che fine avrebbe fatto quel bellissimo mondo…

 

 

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6 novembre 2011 7 06 /11 /novembre /2011 21:19


Il monitor del computer rifletteva una pagina dai colori luminosi che narrava di un lungo viaggio in un’isola magica, al di là dei confini dell’emisfero. Chiara si scostò un po’ per osservarne soddisfatta l’effetto: lo sfondo verde e cristallino di un mare lontano invitava ad un tuffo, mentre le orchidee dai colori intensi in primo piano trasmettevano un irresistibile richiamo a magiche avventure. A Simone sarebbe piaciuto…

La prima volta che lo aveva visto era stato ad una delle tante riunioni: era stato assunto da poco, era un tecnico giovane e brillante. Quando gli aveva stretto la mano aveva capito che da quel momento, più nulla sarebbe stato come prima.

Era rimasta in silenzio per tutto il tempo, aveva immaginato di baciarlo, di stringerlo, un intero primo appuntamento era passato nella sua mente mentre osservava i giochi ramati che la luce ricavava dai suoi capelli bruni.

Era bello: quando sorrideva sembrava un ragazzino, con lei scherzava sempre, probabilmente la trovava simpatica e Chiara si lasciava travolgere ogni volta dall’emozione. Con il tempo aveva finito per apparirgli scostante e noiosa, sempre così concentrata sul lavoro, mentre non desiderava altro che svelargli se stessa e tutto ciò che avrebbe voluto dargli.

Simone era all’oscuro di tutto: era la storia di Chiara che si era snodata in una lunga catena di riunioni. Si incrociavano raramente nei corridoi, ogni volta si scambiavano un saluto cordiale ma lei per mesi lo aveva sognato come una ragazzina, la sue mente aveva costruito per loro mille storie, tutte diverse ma ugualmente intrise di passione, gli aveva scritto poesie che non avrebbe mai letto…

Ma purtroppo aveva scoperto presto di non essere il suo tipo di donna: un’altra riunione, l’ennesima, per tutto il tempo lui era stato distratto, l’oggetto del suo evidente interesse un’altra collega che rappresentava il contrario esatto di Chiara: piccola ed esile, giovane e dall’aria un po’ vulnerabile, tanto simpatica e piacevole da non poterla neanche odiare.

Questa volta era stato lui a tacere, così candidamente voltato verso la ragazza, ma Chiara aveva continuato a parlare, cercando disperatamente di seguire il filo, mentre tratteneva le lacrime con un’ostinata dignità che solo l’età e le troppe sconfitte le avevano insegnato.

Aveva provato una gelosia furiosa, mista alla disperazione di chi si è ormai arreso alla consapevolezza di non avere alcun diritto di provare per una volta quei sentimenti ricambiati.

Sapeva che non sarebbe stata solo l’età a dividerli come un muro; lei non era la donna che lui avrebbe voluto, era sbagliata, lo sarebbe stata comunque, era sbagliato il suo corpo, il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi, era sbagliato il gelo che si portava dentro e che non la rendeva più capace di essere come un tempo.

Gli anni le avevano lasciato dentro i segni del dolore come coltellate, lui aveva ancora intatta la sua curiosità, la sua fiducia.

Aveva cominciato a preparare freneticamente ogni incontro, a comprare abiti costosi, a cambiare il taglio dei capelli, anche se sapeva che non sarebbe servito a niente. Non sapeva perché, ma Chiara lo aveva sempre immaginato libero da legami sentimentali, una banale conversazione alle macchinette del caffè a tema vacanze, le aveva svelato l’esistenza di una ragazza che divideva la vita con lui, che rubava quel posto che Chiara avrebbe voluto per sé. “Sciocca!” si disse, quella non rubava nulla: era Chiara a rubare ogni sguardo, ogni gesto di Simone; era lei che stava mendicando un amore che non avrebbe mai avuto.

Simone era l’ultimo sogno della sua vecchiaia, dei suoi anni che pesavano all’anagrafe e che la schiacciavano nella mente.

Erano stati tanti quelli che lo avevano preceduto, quelli per cui Chiara non andava bene, non era giusta, fino a dimenticare l’amore, ad accontentarsi della sua esistenza.

Simone l’aveva aggredita nel suo nulla con il suo semplice esistere, era il suo ultimo sogno, spezzato dalla realtà: non ce ne sarebbero stati altri.

 

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6 novembre 2011 7 06 /11 /novembre /2011 21:17


Palmiro non c’era più.

La casa sembrava cercare la sua voce allegra tra le stanze, senza più trovarla, un senso di vuoto lancinante, tanto irrazionale da far sentire in colpa.

Danilo piangeva sommessamente e faceva ancora più male il suo viso smarrito che indagava con lo sguardo un’assenza incolmabile, come se Palmiro dovesse semplicemente riapparire tra le stanze. Un silenzio doloroso regnava, invece, sulla cena, gli occhi gonfi di tutti attorno al tavolo scoraggiavano la conversazione.

Due giorni. Palmiro era andato via da due giorni e non c’era traccia di ripresa, di un lento ritorno alla normalità.

Palmiro era Palmiro, un pezzo della loro esistenza, un pezzo la cui importanza era apparsa evidente solo ora, nell’assenza. Com’era stato facile dare per scontata la sua presenza, le risate che sapeva strappare con l’abilità di un clown consumato.

Danilo, unico, si domandava ad altra voce se stesse bene, ma tutti pensavano la stesa cosa, immaginandolo solo com’era quando era andato via.

Chissà se stava bene… e il suo bene era l’unica cosa che conta, più ancora di un suo ipotetico ritorno.

Danilo piangeva e sospirava, gli occhi tristi persi nel programma tv che sembrava non vedere né sentire. Danilo senza Palmiro era uno spettacolo che faceva male.

Aveva capito subito la gravità del rischio, che quell’andare via poteva essere per sempre, non c’era stato bisogno di spiegazioni.

Avevano paura, paura degli incontri malvagi che poteva fare, non riuscivano ad immaginare Palmiro solo e smarrito dalla lontananza, fragile e spaventato dallo strano mondo attorno. Sapevano solo che pensava a loro, con il medesimo pianto di nostalgia sentiva la loro mancanza.

Poi era arrivata la telefonata, La mano un po’ tremante a sollevare la cornetta, un breve scambio di frasi e poi la voce si era fatta allegra, il sollievo era diventato quasi risata.

Danilo si era aggrappato ai pantaloni del padre con gli occhi sgranati dall’attesa.

«Miro torna? Miro torna?»

Anche la madre, attenta, si era unita con la stessa ansia nello sguardo.

Lui aveva annuito mentre non smetteva di ringraziare lo sconosciuto interlocutore.

«Sta bene! Lo hanno trovato vicino al parco ed hanno visto il nostro numero sulla medaglietta!»

Aveva preso le chiavi della macchina, mentre, attorno, era esplosa, incontrollabile, una danza di gioia.

Aveva teso una mano verso il bimbo.

«Vieni, andiamo a prenderlo!»

 

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6 novembre 2011 7 06 /11 /novembre /2011 21:13

Una brezza leggera le mosse i capelli canuti ormai da tempo immemorabile; il profumo dei tigli in fiore la fece fremere; la mano rugosa, simile ad un artiglio, si levò verso la ringhiera del balcone, ma si ritrasse immediatamente per stringere al seno il piccolo fagotto rosa.

Un breve bagliore in fondo allo sguardo perso chissà dove, chinò la testa ad osservare la copertina fra le braccia, una lacrima scese rigando il volto grinzoso, le labbra si incresparono in un triste sorriso pieno di tenerezza.

Quello era stato un giorno qualunque, Maria era rimasta sola a casa,il marito sarebbe rientrato tardi dal lavoro come, al solito. La bambina dormiva ma verso le undici si era svegliata piangendo. Maria la prese in braccio per coccolarla ma si accorse subito che scottava. Cercò il termometro, un attimo e la febbre era altissima. Il marito ,appena arrivato, decise di andare al pronto soccorso. Fu una corsa folle. Affidarono la piccola al medico di turno e permisero a Maria di entrare con la figlia.

Trascorse un ‘ora, un infermiera venne a prendere Maria, la vide e le asciugò le lacrime “ Maria, non piangere più…” La donna volse gli occhi verso la voce gentile poi, abbassò lo sguardo sulla copertina rosa, la strinse a sé. Cercava ancora disperatamente di trattenere chi se ne era andato in una notte d’estate molti anni prima lasciando un vuoto incolmabile nel cuore portandola inesorabilmente a perdersi nella follia di un dolore senza limite.

Ormai le infermiere conoscevano la storia di Maria, inchiodata su una sedia a rotelle:stringeva al cuore la copertina rosa ricamata,tentando così di stringere ancora quella bambina che tanto tempo prima una meningite fulminante le aveva impietosamente portato via. Anche il marito non aveva retto al dolore ed era morto poco dopo la piccola: Maria, così, aveva tentato di vivere fino a quando non aveva più retto, tentò malamente il suicidio e fu quello il momento in cui entrò in casa di cura psichiatrica. Piano, piano si era sempre più chiusa in un silenzio ermetico, drammatico scivolando in un pozzo di da cui non era più risalita.

Quella sera la leggera brezza primaverile, carica di profumi accompagnò Maria verso la liberazione da un’esistenza che l’aveva portata all’annullamento totale della sua volontà. Scivolò dolcemente in un sonno profondo, finalmente senza incubi, senza sedativi.

Raggiunse la pace, si ritrovò di nuovo una giovane mamma con la sua piccola fra le braccia…

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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 19:10

C’era agitazione per la casa, perfino dalla cantina aveva sentito le voci irritate. Con prudenza si era avvicinata per ascoltare: la voce di Christian era alterata, non sembrava neanche lui. L’altra voce, beffarda, era quella di Reffe.

 

«Sei finito, cacciatore di fantasmi! Domani sarà l’ultimo giorno! Preparati a finire su tutti i telegiornali come il più grande imbroglione di tutti i tempi!» il tono di trionfo era insopportabile. «Se il tuo fantasma non si vede entro domani e non si fa immortalare con un bel sorriso, ti rovino per sempre!»

Come odiava quell’uomo che faceva arrabbiare tanto Christian…

Si era allontanato ridendo verso il giardino, gli altri erano rimasti attorno al ragazzo che stava tirando fuori degli aggeggi ancora più strani.

«Ok, ragazzi! Ora ci giochiamo il tutto per tutto!»

«Cosa intendi fare?»

«Proverò con il campo magnetico: se l’entità si avvicina al campo sarà distrutta»

Erano tutti così sconsolati.

«Siamo partiti così bene… perché non si è più mostrato?»

Christian appariva stanco.

«Non capisco…dopo aver rovesciato quella telecamera è come se l’entità fosse sparita!»

Lilia respirava a fatica e le mani le tremavano violentemente. Lei… stavano cercando lei!

Stupida! Ancora una volta non aveva capito nulla! Stavano cercando un fantasma in quella casa, una cosa brutta e spaventosa, e cosa c’era di brutto lì se non lei?

Scappò via barcollando fino alla cantinetta e si gettò a terra. Urlò, pianse come non faceva da tanto. Nessuno l’avrebbe mai sentita lì sotto.

Christian voleva distruggerla… non sapeva bene come, ma sembrava una cosa che faceva tanto male.

Molte ore dopo si era calmata, era rimasta a terra sul suo straccio a lungo, immobile, poi si era mossa.

Era notte, era salita verso la camera di Christian lungo la solita via sicura. Lui dormiva. Era rimasta a vegliarlo pensando.

Aveva bisogno di lei: quell’uomo malvagio aveva detto che se non si fosse mostrata entro l’indomani gli avrebbe fatto delle cose cattive.

Lui era così triste per quella meschinità, così arrabbiato…

Ricacciò indietro le lacrime: aveva paura come quella volta nel fiume. Quella parola, “distrutta”, la terrorizzava, tremava talmente forte per l’angoscia che temeva di svegliare il ragazzo.

 

Christian aveva bisogno di lei, come aveva creduto che Tobi avesse bisogno di lei. Sarebbe andato via infelice per colpa sua e lei non poteva lasciare che la paura la fermasse. Pensava… forse “distrutto” faceva male per un momento, ma poi sarebbe passato.

Restò a lungo a vegliare, mentre l’alba si avvicinava si sentiva più coraggiosa.

La luce filtrò impalpabile dalla finestra, Lilia si avvicinò a Christian e lo baciò come aveva visto fare ad Ambra. Pianissimo, però, per non svegliarlo.

Scese nella cucina. Voleva rivederla ancora perché sentiva che una volta distrutta non sarebbe più potuto tornare nella casa.

Era stata così tanto tempo lì...

Si stavano alzando tutti, lo sentiva, i rumori della casa che si risvegliava la raggiungevano ovattati.

Tornò zoppicando verso il salone dove c’erano tutte quelle cose strane e dove aveva visto Christian che montava la più strana di tutte.

 

Lentamente, si lasciò vedere. Mentre la sua figura appariva e prendeva forma, un mormorio primo e poi qualche grido strozzato venne dalla troupe. Continuavano a girare meccanicamente, quasi frenetici, ma gli occhi di tutti erano su di lei. L’entità teneva gli occhi bassi, fissi a terra, umiliata da quelle grida di disgusto che sentiva. Le lacrime scorrevano silenziose lungo le guance.

Lilia aveva paura, temeva che le avrebbe fatto tanto male, ma Christian aveva bisogno del suo aiuto. Si avvicinò zoppicando al campo magnetico che lei vedeva come una luce azzurra: sembrava il colore del cielo sopra le colline, che non aveva più visto.

Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non poteva andarsene senza aver guardato ancora una volta Christian. Alzò appena lo sguardo su di lui: era lì che la fissava.

Fece un passo avanti, si immerse nel campo magnetico come aveva fatto nella corrente del fiume, una luce scintillante la avvolse, riconobbe il calore di due braccia forti e gentili, e il profumo di biscotti  e pane e tante altre cose buone e fu improvvisamente felice: nessuno avrebbe più fatto arrabbiare Christian e la mamma era venuta finalmente a prenderla.

                 

                                                             FINE

 

 

 

 



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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 19:08

Il lamento di Christian l’aveva raggiunta nel sonno, un’imprudenza imperdonabile, in un attimo si era sollevata in piedi ed era corsa accanto al letto. Non era la prima volta che succedeva, anche a lei capitava ogni tanto di sognare brutto, soprattutto quando Gustavo era nella casa, e allora la mamma la svegliava e l’abbracciava stretta finché il battito del cuore si calmava e i brutti pensieri andavano via.

Avrebbe voluto fare come la mamma, ma non sapeva come.

Il ragazzo si agitava nel sonno, parole senza senso uscivano dalla sua bocca, Lilia prese coraggio e afferrò piano la sua mano. Christian sembrò calmarsi, il respiro tornò gradualmente regolare, ma aveva stretto con forza la mano di Lilia.

Era scomoda, non poteva muoversi e la schiena le faceva male, ma era rimasta lì, sorpresa dal calore che le trasmetteva quella mano. Era come la carezza della signora.

Lilia si sentiva stanca, le palpebre si appesantivano, ma non poteva dormire: Christian non doveva trovarla lì. Era confusa, ma una cosa la sapeva con certezza: lui non avrebbe mai dovuto incontrarla, se l’avesse vista sarebbe diventato come Gustavo e l’avrebbe mandata via tirandole i sassi.

La mamma le aveva insegnato a non lamentarsi mai della sua vita e ad accontentarsi di tutte le cose buone che aveva, ma questa volta desiderava qualcosa di più: avrebbe voluto potersi sdraiare un attimo stringendo la sua mano, potersi addormentare e riposare, senza scappare, senza sentirsi così sola… Per la prima volta in tutti quegli anni, si trovò a desiderare di non doversi nascondere, di poter restare accanto a Christian fino al suo risveglio, senza fargli paura, senza essere cacciata via con male parole.

Dalla finestra filtravano già le prime luci della giornata, cautamente sfilò la mano dalla stretta del ragazzo e si allontanò. Non aveva altra scelta: questi nuovi padroni guardavano dappertutto, ma non sapevano dell’esistenza della cantinetta. Era l’unico posto sicuro, anche se puzzava di muffa. Si raggomitolò sul pavimento umido, protetta solo da un vecchio straccio, ma non si sentiva freddo questa volta: era come se dalla sua mano continuasse a irradiare un calore che la riscaldava tutta e le faceva compagnia.

 

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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 19:07

Il rumore dei passi l’aveva svegliata, lesta Lilia si era ritirata verso la cantinetta, attraverso il passaggio adiacente alla cucina.

«Guarda: una vecchia stufa!»

«Lascia stare, è tutto pieno di polvere! Che razza di topaia…» Reffe era irritato.

«Peccato, è una bella casa, se non fosse infestata…»

«Si, infestata di idioti! Comunque i dieci giorni che avevamo pattuito stanno per scadere: ancora qualche giorno e ce ne andiamo tutti»

«Sembri contento… »

«Puoi scommetterci: ce l’ho in pugno! Le sta provando tutte per catturare la sua entità, peccato che non si faccia vedere! Ed è ovvio, visto che non c’è un bel niente se non topi e scarafaggi»

Un rumore che ricordava vagamente una campanella fece sussultare Lilia che era rimasta accucciata ad ascoltare.

«Pronto!» l’uomo parlava con una scatoletta, era quella che aveva fatto il rumore.

«Certo, è quasi fatta. Nessun fantasma naturalmente: il re delle classifiche è finito per sempre»

Lilia fu colpita dalla frase piena di ostilità come da uno dei pugni di Gustavo: parlava di Christian, lo chiamava sempre “il re delle classifiche”, anche se non sapeva cosa significasse.

Reffe e l’operatore erano andati via, Lilia si era appoggiata contro il muro ruvido. Cosa voleva dire che stavano per andare via? Aveva detto dieci giorni, perché dieci giorni?

Lilia era disposta a stare rintanata nella cantinetta, era disposta a passare anche tutto l’inverno lì, al freddo, pur di poter vedere ancora Christian. Non poteva andare via e lasciarla di nuovo nella casa vuota… anche lui, come la mamma, stava per abbandonarla.

Dimenticando la prudenza, era scivolata fino al salone dove sperava di trovarlo: lui era lì, lo sguardo chino su uno di quei aggeggi che lei aveva imparato ad evitare:

Se solo avesse capito cosa cercava: lei conosceva più di chiunque altro la grande casa, avrebbe potuto condurlo all’entità, di sicuro sapeva dov’era. Se solo avesse capito…

Aveva ragione Gustavo: che guaio essere scema e non capire niente.

Era entrata la ragazza magra, magra: «Funziona?»

«No, non capisco… Sembrava un caso semplice, ma questa entità non si mostra mai. Non ho mai visto un comportamento così!»

La ragazza si era avvicinata. Era strana.

L’aveva accarezzato lentamente, insinuando le mani sotto la camicia. Lui si era appena voltato e l’aveva baciato stringendolo forte.

Lilia non capiva.

«No, Ambra, non ora!» Christian si era sciolto dall’abbraccio.

«Cosa vuoi che cambi? Anche se troviamo il modo di passare un po’ il tempo in questo posto…»

«I dieci giorni sono quasi scaduti e voglio concentrarmi sul caso!»

«E se il fantasma non salta fuori?»

«Tu non capisci! E’ in gioco tutto quello che ho costruito finora! Reffe ha fiutato lo scoop e vuole distruggere una volta per tutte la mia credibilità»

«Stai esagerando!»

«No, affatto! Se non riesco a dimostrare che questa casa è infestata, perderò tutto!»

Lilia era indignata. Avrebbe picchiato con le sue mani quell’uomo cattivo! Lo sapeva, lo aveva capito subito che voleva fare del male a Christian!

Aveva capito anche che stavano cercando un fantasma. Non ne aveva mai visto nessuno, ma aveva sentito tante storie spaventose che ne parlavano; sapeva solo che erano cose brutte e cattive, perché lo cercavano in quella casa?

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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 19:05

«Ti dico che qualcuno ha fatto scattare le telecamera! E’ sensibilissima e…»

«Sì, certo, un bel gattone magari!» Reffe era appena arrivato con il suo operatore.

«Se permettete, adesso ci pensiamo noi. Gli accordi erano chiari: il servizio lo facciamo noi, non mi fido dei vostri giocattoli truccati »

L’uomo era alto e massiccio, la voce forte dall’impostazione perfetta era incrinata dal tono sprezzante.

Era deciso a demolire una volta per tutte quel pagliaccio che faceva pacchi di soldi con le sue false avventure nel paranormale.

Lilia lo aveva visto arrivare e aveva capito subito che non era simpatico a Christian. Aveva capito anche un’altra cosa: doveva stare lontana da quei cosi neri che si muovevano quando sembravano fermi.

Quando era calata la notte, erano andati avanti a lungo a parlare e a trafficare attorno a quegli oggetti strani, ma poi erano andati tutti a dormire.

Lilia finalmente aveva potuto uscire dalla cucina, prudentemente era salita lungo la scala un po’ scricchiolante, ma conosceva tutti i gradini e tante volte giocava a salirla senza fare il più piccolo rumore.

Christian dormiva sempre profondamente, Lilia non sapeva cosa fare, voleva  salire da lui per restare a guardarlo alla luce della luna che filtrava dalla finestra.

Un impulso insensato le aveva fatto allungare una mano per accarezzarlo, toccarlo almeno una volta, si sentiva come se le farfalle le volassero nello stomaco, il cuore le batteva così forte che le sembrava perfino di averlo nelle orecchie, era così bello e lei si sentiva così leggera, “Oh mamma, ma cosa mi succede?”.  Piano, con la punta del dito, gli sfiorò il braccio.

Quando girava attorno alla casa aveva visto molti uomini senza camicia, ma non ne aveva mai toccato nessuno, anzi, le avevano sempre fatto provare un certo disgusto, inoltre, la mamma, le aveva detto di stare sempre lontana, ma per lei non era mai stato difficile: i ragazzi la deridevano e i più vecchi le dicevano cose altrettanto cattive che non sempre capiva, capiva solo dal tono della voce che erano cose sporche,se le avesse dette al curato sicuramente avrebbe predetto per quegli uomini le fiamme dell’inferno, mentre a lei diceva sempre che gli Angeli del Signore l’avrebbero protetta.

Continuava a guardare Christian, sentiva la sua pelle sotto il dito: era così morbido ed aveva un profumo di fresco, particolare, frizzante, si sentiva turbata… Era quasi come la mamma, ma era diverso: lei profumava di pane e di biscotti e di tante cose buone e quando l’abbracciava, la teneva stretta, stretta e  a lei piaceva affondare in quelle braccia sempre accoglienti…

I peli dell’avambraccio le fecero il solletico, voleva ridere di gioia, ma il timore gelò il suo riso.

Se fosse stata bella come la signora che era venuta in cucina... Il dolore l’afferrò quasi a tradimento.

Ritirò la mano bruscamente: lui non doveva vederla, non avrebbe mai dovuto vederla!

Una lacrima cadde sul braccio, quasi dov’era stata la sua mano, scivolò piano fino a perdersi nel lenzuolo.

 

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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 19:01

Le mancava la mamma più che mai: lei avrebbe saputo dirle cosa le succedeva, con la sua saggezza aveva sempre una spiegazione per tutto e le avrebbe detto cosa doveva fare.

Lilia aveva spiato con ansia i rumori della casa, ma nessuno si era avvicinato alla cucina: quando c’erano ospiti doveva sempre fare tanta attenzione a non mostrarsi e non era tranquilla.

Era uscita con cautela quando non aveva più sentito nessun movimento, ma era quasi mattina. Si avvicinò a quegli strani oggetti che aveva visto, ma da vicino erano ancora più sconcertanti, scuri, pesanti e freddi.

Sembravano inerti, ma all’improvviso uno fece un rumore secco come uno schiocco e un ronzio e una luce rossa si accese di colpo. Per lo spavento, Lilia cadde a terra trascinando con sé una di quelle scatole, la più piccola.

Le luci si accesero nelle stanze e le voci concitate delle persone si stavano avvicinando.

Lilia sgusciò via più veloce che poteva. Era successo di nuovo! Non voleva far paura alla gente o far scappare le persone, ma si annoiava tutto il giorno in cucina e quando usciva fuori la notte finiva sempre per combinare qualche pasticcio!

Con uno sforzo, Lilia cercò di rotolare dietro un mobile massiccio che nascondeva una piccola nicchia, aveva il fiato corto ed era terrorizzata,  da lì comunque poteva vedere la gente nel salone.

Christian era arrivato subito però nessuno l’aveva cercata: si erano raccolti attorno a quell’oggetto nero che l’aveva tanto spaventata.

«Presto! Vediamo cosa ha filmato!»

Il ragazzo fece scorrere lentamente la registrazione fermando più volte le immagini.

 

«Guardata! Un’ombra! Si vede chiaramente: l’entità ha attivato la telecamera ma non è stata inquadrata, c’è solo un movimento.»

Ambra aveva osservato con cura l’altra telecamera, quella che era finita a terra.

«La tua entità fa cadere gli oggetti»

«Sì, è quello che hanno detto tutti i testimoni: si manifesta facendo cadere qualcosa»

Lilia ascoltava attenta. Cos’era un’entità? Era una parola che non conosceva, non sentiva bene tutta la conversazione, sembrava che parlassero di qualcuno nella casa, ma non c’era nessuno lì.

Christian era davanti a lei, assorto. Lilia lo guardava a bocca aperta, le piacevano così tanto i suoi occhi neri dalle ciglia lunghe.

«Cominciamo bene… Peccato che Reffe non sia ancora arrivato» aveva quasi bisbigliato «Forza, torniamo a dormire ora!»

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